“Sarebbe la prima volta che un operatore europeo incumbent si ritirerebbe dalla sua rete”

DFin dalla sua privatizzazione nel 1999, Telecom Italia (TIM), costantemente sballottata da un azionista all’altro, non ha mai trovato la stabilità necessaria per una buona gestione. Non è l’ultimo episodio che gli dà il riposo di cui ha bisogno. Il consiglio di amministrazione dell’ex monopolio di Stato fondato da Benito Mussolini ha deciso di avviare trattative in esclusiva per la cessione della propria rete di telecomunicazioni fissa al fondo americano KKR.

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Sarebbe la prima volta che un operatore incumbent europeo si ritira dalla sua rete, tradizionalmente l’asset più strategico di cui diventa semplice tenant. Le trattative dovrebbero concludersi entro settembre e concludersi con un assegno da quasi 22,5 miliardi di euro. Abbastanza per saldare un debito di oltre 25 miliardi di euro e, soprattutto, per affrontare il necessario ammodernamento di questa rete, una delle più arretrate in Europa nella conversione alla fibra.

L’offerta americana è stata preferita a quella dell’italiana Caisse des dépôts, braccio ancora armato dello Stato che possiede già quasi il 10% dell’operatore e ha già una rete concorrente. Ha collaborato con il fondo australiano Macquarie Group. Ma la loro offerta non era finanziariamente sufficiente e rischiava di attirare l’ira di Bruxelles.

Molteplici azioni legali

Tuttavia, non è detto che l’attuale Petaudière si fermerà spontaneamente con questa nuova situazione. Infatti, il maggiore azionista di TIM è proprio Vivendi, che detiene quasi il 24% del capitale dell’operatore. Il francese non ritiene che la valutazione sia buona, conterebbe su 30 miliardi solo per coprire le sue spese.

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Quando si è trasferito nella capitale nel 2015, la campagna valeva più di 1 euro, ora vale circa 20 centesimi. È quindi probabile che il caso sfoci in diverse controversie note all’azionista di Vivendi Vincent Bolloré.

Fa anche un buon punto sulla fragilità di un’azienda privata del suo gioiello in un momento in cui è più importante che mai con l’avvento della banda larga. Ma Vivendi, che ha logorato i successivi amministratori delegati alla guida di TIM, non è mai stata in grado di articolare una strategia coerente per un’azienda non più impegnata nel suo core business, i media. Una strategia irraggiungibile che avrebbe potuto arrestare il declino di una società la cui storia recente riassume da sola la decadenza di un certo capitalismo d’oltralpe.

Alberto Gabriele

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