“Non riesco a ricordare esattamente quante volte ho pianificato, provato e voluto uccidermi.”

Agnes ha ammesso che c’è stato un tempo in cui non voleva più vivere e la sua vita era come il film “Surviving Summer”. Oggi è traboccante di gioia e desiderio di vita, che cerca di ispirare gli altri condividendo la sua esperienza.

“L’unica cosa terrificante era il fatto che, dopotutto, questa era la realtà, la mia vita. Non ricordo esattamente quante volte ho pianificato, provato e voluto uccidermi. Tutto quello che so, mi sono distrutto nella mia mente almeno qualche migliaio di volte, chiudevo gli occhi e sognavo che giornata meravigliosa sarebbe stata se un’auto mi avesse investito mentre camminavo per strada e io non avessi niente da fare.

Solo che non avevo più la forza non solo di uscire per la stessa strada, ma anche di lavarmi la testa. Mi sentivo esausto. Conoscevo a memoria ogni dettaglio del mio soffitto, ogni piccola crepa nel muro. Perché l’unica cosa che potevo fare era stare lì a guardare per ore. Con quegli occhi che un tempo erano pieni di vita e ora sembravano una bambola di porcellana.

Famiglia, amici, persone care, tutti hanno visto che non andava bene. Peggiorando. I medici hanno aumentato le dosi di antidepressivi, ma ciò non ha aiutato. Alla fine le soluzioni erano due: continuare ad affogare nel buio dei suoi pensieri oppure andare in ospedale. Sì, lo stesso che i nostri politici a volte deridono così sfacciatamente. Lo stesso il cui nome della strada viene usato per insultare e umiliare gli altri.

Proprio quello per cui ci stigmatizziamo così tanto senza renderci conto che potremmo fare del male a noi stessi o ai nostri cari in futuro. E sono quasi diventato vittima di questa assurdità, ma alla fine ho capito che lì, da qualche parte nel profondo, vive ancora in me questa Agnese, che vuole vivere.

Sarò sempre grato al Centro di salute mentale della città di Vilnius, perché senza i medici che lavorano lì forse non avresti visto questo post. È passato molto tempo. E l’ho scritto solo perché era imbarazzante. Ci è voluto del tempo per renderci conto che noi stessi siamo spesso ostaggi della nostra “normalità” autocreata.

E se c’è qualcosa di vergognoso qui, è vergognoso se rifiuti di salvarti per paura di ciò che penseranno gli altri. Dopotutto, se ci fa male la gamba, andiamo dal medico, quindi perché abbiamo ancora così paura di chiedere aiuto quando ci fa male dentro?

Normalizziamo i problemi psicologici, distruggiamo gli stigmi, rispettiamoci e rispettiamoci a vicenda. Perché a volte basta questo per salvare una vita.

Novembre sta arrivando. Più tardi è un momento statisticamente terribile e sappiamo tutti dove vinciamo sempre l’oro. Forse è il momento di abbracciarci, ascoltarci e sostenerci a vicenda? Infine, sconfiggiamo questa stupida statistica. Firmato da Agnì, che in questo momento ha tanta voglia di vivere”, scrive.

Alberto Gabriele

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