Nel 2019, l’economia fortemente indebitata è diventata l’unico paese industrializzato del Gruppo dei Sette (G-7) a partecipare all’iniziativa cinese Belt and Road.
L’ambiziosa agenda del presidente cinese Xi Jinping, che comprende massicci investimenti in infrastrutture come porti, ferrovie e aeroporti, mira a migliorare i collegamenti commerciali tra Asia, Africa ed Europa.
I critici sostengono che il piano sia un cavallo di Troia volto a rafforzare l’influenza di Pechino.
L’accordo dovrebbe essere rinnovato automaticamente nel marzo 2024, a meno che l’Italia non si ritiri quest’anno.
“Vogliamo continuare a lavorare a stretto contatto con la Cina, ma dobbiamo anche monitorare le esportazioni: la Belt and Road Initiative non ha prodotto i risultati che ci aspettavamo”, ha detto il ministro degli Affari esteri italiano Antonio Tajanis durante il forum economico.
Secondo lui, il valore delle esportazioni italiane verso la Cina nel 2022 ha raggiunto i 16,5 miliardi. euro (17,8 miliardi di dollari), mentre le cifre corrispondenti per Francia e Germania sono state ben più elevate: rispettivamente 23 miliardi. e 107 miliardi di euro.
Nel corso del suo viaggio a Pechino, che durerà da domenica a martedì, Tajanis incontrerà le autorità italiane e si preparerà alla prevista visita del premier Giorgia Meloni, che secondo alcuni esperti confermerà il ritiro dell'Italia dall'accordo.
Per quanto riguarda il ritiro, “probabilmente è già stato effettivamente concordato con le autorità cinesi”, ha osservato nei suoi commenti Lorenzo Codogno, ex capo economista del Dipartimento del Tesoro italiano.
Meloni “ne farà un annuncio ufficiale nel corso della sua visita di Stato a Pechino, prevista per metà ottobre, in segno di rispetto verso i leader cinesi”, ma l'ultima parola spetterà al Parlamento italiano, ha aggiunto.
Il predecessore della Meloni, Mario Draghi, ha congelato l’accordo e bloccato gli investimenti cinesi su larga scala in settori strategicamente importanti.