PARIGI – Un ricordo di tre mesi di crisi in Israele, dove un controverso progetto di riforma giudiziaria ha scatenato uno dei più importanti movimenti di mobilitazione popolare nella storia di quel Paese, mettendo alle strette il governo lunedì notte per annunciare una “pausa”.
Progetto controverso
Il 4 gennaio, il nuovo ministro della Giustizia Yariv Levin ha annunciato un progetto di riforma giudiziaria volto ad aumentare il potere dei funzionari eletti sui giudici.
Include una “clausola di annullamento” che consentirebbe al Parlamento di ribaltare una decisione della Corte Suprema a maggioranza semplice.
La presentazione di questo progetto arriva mentre il primo ministro Binyamin Netanyahu, a capo di uno dei governi più di destra nella storia del Paese, è sotto processo con molteplici accuse di corruzione.
Il leader dell’opposizione Yair Lapid denuncia una riforma che “mette in pericolo” il sistema giudiziario israeliano.
Eventi settimanali
Il 7, diverse migliaia di israeliani hanno manifestato a Tel-Aviv contro questa riforma.
Il 12, il presidente della Corte Suprema Esther Hayut ha descritto il progetto come un “assalto sfrenato” alla magistratura.
Il 14, decine di migliaia di persone si sono radunate a Tel-Aviv per protestare contro le politiche della coalizione di governo.
L’ex primo ministro Yair Lapid si è unito al 22esimo a circa 100.000 manifestanti (secondo le stime dei media) che si erano radunati nel centro della città.
Le manifestazioni sono ormai diventate settimanali e si estendono a diverse altre grandi città come Gerusalemme o Haifa (nord).
Disposizioni approvate in Parlamento
Il 21 febbraio il Parlamento ha approvato in prima lettura due delle prime disposizioni fondamentali della riforma.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, invita Israele a “sospendere le modifiche proposte alla legge”.
Scontri tra polizia e manifestanti a Tel Aviv il 1° marzo.
Il presidente israeliano Isaac Herzog il 9 marzo ha chiesto l’arresto del processo legislativo sulla legge di riforma, definendolo una “minaccia alle fondamenta della democrazia”.
L’11 marzo, secondo i media, più di 100.000 persone si sono radunate a Tel Aviv per le manifestazioni, battendo i record di Haifa e Beersheva (sud) con rispettivamente 50.000 e 10.000 persone.
Il 14 marzo il Parlamento ha approvato in prima lettura la clausola di deroga, la disposizione più controversa del progetto.
Richieste internazionali di compromessi
Isaac Herzog, che ha avvertito del pericolo di una “guerra civile”, ha presentato il 15 marzo una bozza di compromesso, ma il governo l’ha respinta.
Il 16 il cancelliere federale Olaf Scholz ha dichiarato di seguire i dibattiti “con grande preoccupazione”.
Il 17, il segretario di Stato americano Antony Blinken ritiene che raggiungere “il consenso sia la migliore via da seguire”. Due giorni dopo, il presidente Joe Biden esorta la sua controparte israeliana a “scendere a compromessi”.
Il 23, Binyamin Netanyahu si è impegnato a “porre fine alle divisioni tra il popolo” e ha dichiarato la sua determinazione a portare avanti la riforma.
La magistratura considera “illegale” il suo intervento visti i processi in corso.
licenziati i ministri
Il 25 marzo, il ministro della Difesa israeliano Yoav Galant ha chiesto una pausa di un mese nel processo legislativo. Viene rilasciato il giorno successivo.
Migliaia di manifestanti scendono in piazza a Tel Aviv, la notte è segnata dagli scontri con la polizia.
Gli Usa, “profondamente preoccupati” per la situazione, chiedono nuovamente “compromessi”.
Isaac Herzog il 27 ha invitato il governo a “interrompere immediatamente” il lavoro legislativo sul progetto.
La più grande confederazione sindacale israeliana annuncia subito in mattinata “uno sciopero generale”.
Netanyahu costretto a una ‘pausa’
In serata, Benjamin Netanyahu ha annunciato una “pausa” nel processo di varo della riforma, che però sarà rinviata alla prossima sessione parlamentare.
Lo sciopero generale termina subito dopo l’annuncio.