Il 29 gennaio 2024 il governo italiano ha organizzato a Roma una conferenza nell’ambito della presidenza italiana del G7 Conferenza Italia-Africa. Questo vertice, al quale hanno partecipato 26 capi di Stato e di governo africani oltre a numerose delegazioni, rappresenta un notevole successo per il governo di Giorgia Meloni, che è riuscito non solo ad assicurare una buona rappresentanza delle autorità africane, ma anche a coinvolgere i principali funzionari europei nella alla manifestazione la leadership di Ursula von der Leyen e le più importanti organizzazioni delle Nazioni Unite.
Ma al di là di questa esibizione di successo, è appropriata Poni la domanda sul contenuto di questa politica africana.
Una semplice operazione di comunicazione?
Al suo discorso inaugurale nell’ottobre 2022, Giorgia Meloni sorprese annunciando a “Piano Mattei per l’Africa”presentato come un modello virtuoso di cooperazione e crescita tra l’Unione Europea e i Paesi africani.
La citazione di Enrico Mattei (1906-1962) come modello illustra la dimensione della comunicazione politica: scegliendo questo combattente della resistenza democristiana e fondatore dell’ENI, la società pubblica italiana per la produzione di petrolio e gas, Giorgia Meloni sta riscrivendo il suo pantheon storico Promuovere una figura nazionale consensuale.
Questo annuncio è stato poi ripetuto in vari eventi, senza tuttavia fornire dettagli sul contenuto di tale piano. Bisognerà aspettare la fine del 2023 per avere un decreto che istituisca una struttura interministeriale di coordinamento responsabile dell’attuazione.
La Conferenza Italia-Africa del gennaio 2024 rappresenta infatti la prima manifestazione tangibile di questa visione africana: l’Italia ha annunciato investimenti per 5,5 miliardi di euro per il continente. Nessun dettaglio è stato annunciato durante la conferenza. Secondo alcune fonti, poi è emerso che i Paesi interessati dai progetti sarebbero Marocco, Tunisia, Egitto, Algeria, Etiopia, Kenya, Mozambico, Repubblica del Congo e Costa d’Avorio, ma i progetti sono ancora in fase di definizione; Allo stesso modo, non sono state annunciate misure concrete sull’immigrazione, a parte l’idea che lo sviluppo africano possa essere utilizzato per affrontare il problema alla radice, con la Meloni che afferma: “L’immigrazione di massa non sarà mai fermata e i trafficanti di esseri umani non saranno mai sconfitti se lo sarà” Guardiamo alle molteplici cause che portano una persona a lasciare la propria casa”.
Questa somma di 5,5 miliardi di euro è, tra l’altro, piuttosto piccola rispetto ai 150 miliardi stanziati per l’Africa nell’ambito del programma Portale Globale dell’Unione EuropeaL’obiettivo è contribuire allo sviluppo dei paesi partner emergenti e in via di sviluppo dell’UE, in particolare nei settori del digitale, dell’energia e dell’ambiente.
A prima vista questa iniziativa potrebbe sembrare una semplice operazione di comunicazione con alcune debolezze strutturali. Bisogna però ricordare il contesto in cui avviene e le potenzialità che racchiude.
L’Italia in Africa: una presenza economica ma non solo
Per molto tempo l’Italia non ha avuto una vera politica africana. Quando Matteo Renzi entrò al governo nel 2016, fu innovativo, recandosi in Africa tre volte per visitare nove paesi, illustrando per la prima volta una visione sistemica delle relazioni tra l’Italia e il continente.
Questa politica è poi proseguita durante il governo Gentiloni (2016-2018), da un lato attraverso l’azione del ministro dell’Interno, Marco Minitti, che sostiene lo sviluppo dei paesi africani per prosciugare i flussi di immigrati in arrivo in Italia e , invece, l’invio senza precedenti di a Contingente militare di oltre 400 uomini in Niger. È un fatto originale che gli italiani acquisiscano così una profondità strategica nel continente africano, fino ad allora in gran parte sconosciuta, e vale la pena notare che, nonostante il colpo di stato in Niger del 2023, l’esercito italiano è ancora presente sul terreno, il che illustra la loro buona presenza diplomatica.
L’iniziativa di Giorgia Meloni si inserisce quindi in un ciclo recente che spinge l’Italia dal 2016 a rafforzare la propria azione in Africa, in gran parte soggetta a restrizioni migratorie. Da sottolineare anche l’importanza delle reti degli attori non governativi italiani in Africa. Il primo di questi è probabile ENI.
Questa società, controllata dal Ministero dell’Economia, rappresenta un gioiello del capitalismo di stato italiano e ha sempre mantenuto rapporti privilegiati con i paesi fornitori di idrocarburi, che ricordano anche l’eredità storica delle politiche di Enrico negli anni ’50, quando l’ENI offrì loro contratti più favorevoli rispetto ai paesi produttori quelli praticati dalle “7 Sorelle”, le maggiori compagnie petrolifere occidentali dell’epoca.
L’azione dell’ENI contribuì poi al “neoatlantismo”, la linea politica elaborata da Amintore Fanfani (ministro e presidente del Consiglio tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta) quando cercava spazi per la politica italiana nel Mediterraneo, ai margini del il blocco di opposizione emerso dalla Guerra Fredda. Da allora l’Eni ha agito come uno “stato nello stato”, un’azienda capace di garantire concretamente una politica estera a favore dei propri interessi.
Altre grandi aziende pubbliche come Enel, Leonardo O Acea hanno anche interessi significativi in Africa.
Non vanno inoltre sottovalutate le capacità della rete di PMI/PMI italiane, la cui professione di esportatore è esercitata anche in Africa. A questo proposito va notato che dall’inizio della guerra in Ucraina gli italiani Non importano più il gas dalla Russia, ma dall’Africa, che aumenta il deficit commerciale del bilancio italiano con il continente. Questa crescita delle importazioni dall’Africa fornisce anche un quadro per lo sviluppo di relazioni commerciali che bilanciano le importazioni attraverso politiche di esportazione più vigorose.
Inoltre, è opportuno menzionare la grandissima importanza della “galassia cattolica” nei rapporti con l’Africa. Quasi tutte le diocesi italiane partecipano agli interventi di aiuto allo sviluppo del continente attraverso un gran numero di associazioni locali che operano su base volontaria ma raccolgono anche ingenti somme di denaro. Per quanto riguarda gli ordini religiosi è opportuno distinguere tra Missionari comboniani che da sempre sviluppano un’azione privilegiata verso l’Africa, costruendo lì una rete che aiuta a mantenere i legami italiani con i diversi territori.
Infine, dobbiamo ricordare il ruolo svolto da Comunità di Sant’Egidio nel panorama italiano. Questa associazione laica, affiliata al Vaticano, opera per la pace in Africa mettendo in luce le sue notevoli capacità di mediazione. Questo ruolo è stato notevole accettato durante la risoluzione della guerra civile in Mozambico nel 1992; Uno dei leader di questa associazione, Andrea Riccardi, è stato nominato nel dicastero della cooperazione del governo Monti nel 2011.
Una precisazione concettuale
Il “Piano Mattei” presentato da Giorgia Meloni potrebbe a prima vista sembrare un tentativo di rilanciare una politica che ricalca più o meno consapevolmente le linee storiche del nazionalismo italiano Colonizzazione in Africa una delle sue ossessioni dopo l’unificazione della penisola.
In questo contesto bisogna ricordare anche la rivalità con la Francia, con la quale gli italiani in Africa si trovano molto spesso in competizione, come abbiamo visto di recente, ad esempio nel caso della Libia. Ma il Abusi coloniali italiani, nel Corno d’Africa o in Libiasono stati dimenticati dalla storia e oggi non rappresentano un handicap per un Paese che ama presentarsi come “vergine” quando si tratta di colonizzazione.
Al di là di questi riflessi nazionalisti, dobbiamo misurare il potenziale di sviluppo derivante dall’emergere di una politica africana per l’Italia. Il concetto di politica africana ha il vantaggio di chiarire l’azione di politica estera dell’Italia in questo ambito. Per molto tempo Roma utilizzò il termine “Mediterraneo” per descrivere la sua espansione verso la costa meridionale, nella visione di un triangolo geografico la cui punta sarebbe stata l’Italia. Questa visione molto nazionale non corrispondeva alle diverse definizioni di politica mediterranea che incontriamo all’interno dell’Unione Europea: per l’UE, la politica mediterranea è o una politica di inclusione Nord-Sud, oppure una politica di l’Unione per il Mediterraneo, ovvero una politica di sviluppo per le regioni meridionali dell’Unione. Pertanto, l’uso del solo termine “Africa” rappresenta una semplificazione utile per rendere la politica estera italiana più comprensibile e quindi idonea a portare a convergenze internazionali.
La conferenza di gennaio 2024 ha ampiamente evidenziato l’integrazione di questa iniziativa nel quadro europeo, dimensione che ci ricorda spesso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Inoltre, come abbiamo detto, ha riunito tutte le istituzioni internazionali, in particolare le varie agenzie delle Nazioni Unite, il che dimostra la lodevole volontà di far parte del quadro multilaterale esistente. Infine, ai lavori del convegno in Senato hanno preso parte rappresentanti di attori non statali italiani (imprese, Sant’Egidio).
Un’iniziativa utile per l’Europa?
Dal punto di vista simbolico, va sottolineato che la politica europea soffre spesso di un certo anonimato, di una mancanza di incarnazione. L’Italia ha utilizzato i palazzi della Repubblica per ospitare un classico summit apprezzato dai visitatori. Va infine notato che, pur essendo solo un metodo, il Piano Mattei non offre soluzioni già pronte: una flessibilità molto apprezzata dagli interlocutori africani presenti a Roma, aperti al dialogo.
In un momento in cui l’Africa rappresenta un terreno difficile per i paesi europei ed è esposto all’azione di potenze esterne aggressive come Cina o Russia, è opportuno guardare a questa iniziativa con pragmatismo, anche se le azioni dell’attuale governo italiano talvolta generano polemiche Livello europeo.