tribuna
27 settembre 2023
Di Fabien Gibault, docente alle Università di Bologna e Torino
Gli arrivi continuano ad arrivare sulle coste italiane, con Lampedusa a simbolo delle difficoltà che l’Italia sta affrontando. L’afflusso di migranti nella piccola isola ha riacceso un dibattito decennale che sembra non avere soluzione. Tuttavia, l’attuale massiccia copertura mediatica impone una riflessione su questa situazione e su tutti gli attori di questa crisi.
Una nuova crisi che non è crisi
Le immagini di navi improvvisate che entrano nel porto di Lampedusa hanno fatto notizia, mostrando un esodo verso l’Europa sproporzionato rispetto alle capacità dell’Italia. È vero che la collocazione geografica di Lampedusa è atipica. L’isola è lunga poco più di 20 km2 per quasi 6000 residenti. Gli arrivi nelle ultime settimane hanno visto la popolazione dell’isola raddoppiare o addirittura triplicare. C’è anche da tenere conto che da anni il centro di accoglienza di Lampedusa conta solo 400 posti, un numero irrisorio rispetto ai flussi migratori di quest’area.
Ma queste immagini – molto incentrate sui media – non sono del tutto rappresentative della situazione. Sebbene il numero di arrivi sia superiore rispetto allo scorso anno, è al livello di molti anni precedenti, come il 2016 o il 2017, quando circa 150.000 migranti furono registrati nei centri di accoglienza in Italia. Se il numero degli arrivi resta stabile, la rotta è cambiata. Lo scorso febbraio si è verificata una mancanza di coordinamento tra lo Stato italiano e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (c.d Frontex) fece 94 vittime in Calabria, a Cutrò. Considerato questo pericolo, è preferibile una traversata per Lampedusa (che impiega meno di 10 ore da Sfax con il bel tempo). Bisogna poi tenere conto della situazione della stessa Tunisia: la crisi economica e l’instabilità del paese spingono alcuni cittadini a cercare fortuna altrove, qualche chilometro più a est, in Europa.
Le traversate dalla Tunisia sono ora molto più comuni, mentre le partenze dalla Libia o dalla Turchia stanno diminuendo. Risultato: Lampedusa ha accolto meno del 10% degli immigrati negli anni precedenti. Oggi è vero il contrario: il 90%. Una situazione difficile per la piccola isola e per la regione, poiché Lampedusa appartiene alla regione Sicilia e deve far fronte a questo contingente di diverse decine di migliaia di persone. Dobbiamo almeno ringraziare i lampedusani per la loro disponibilità, la loro accoglienza e la loro gentilezza: nonostante gli anni che passano e nonostante la sensazione di essere dimenticati dalla crisi migratoria, continuano ogni giorno ad accogliere i nuovi arrivati e a fornire loro cibo, spesso a domicilio propri costi.
Questa crisi non è quindi una novità, è solo più visibile in questo momento, poiché è concentrata in un unico punto geografico ed è evidenziata dal governo italiano, che spera in una risposta da parte dei suoi partner europei.
La scusa del “fattore piscina” non è più applicabile
Da anni l’attuale governo italiano accusa le ONG del Mediterraneo di essere “taxi del mare”, insinuando che collaborino con i trafficanti per facilitare l’arrivo dei migranti in Europa o che la loro presenza incoraggi i migranti a partire: il cosiddetto effetto Fattore piscina. Il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni ha scritto questa settimana al Cancelliere tedesco Olaf Scholz per esprimere il malcontento dello Stato italiano per il finanziamento tedesco alle ONG di salvataggio nel Mediterraneo. Le ONG sarebbero il fattore scatenante degli arrivi in Italia, ma questo scenario non è stato ancora dimostrato. Soprattutto, si tratta di un’ottima occasione per trasferire la responsabilità del massiccio afflusso di migranti a un organismo esterno, dal momento che queste organizzazioni ormai non svolgono quasi più alcun ruolo: circa il 10% delle persone che arrivano in Europa provengono da imbarcazioni di queste organizzazioni.
Per Giorgia Meloni difficile imputare un elemento esterno: questa situazione impone al governo italiano di assumersi le proprie responsabilità in termini di gestione degli arrivi. Questo è il cuore di questa crisi migratoria: l’identificazione e la gestione delle domande di asilo.
Una nuova riforma europea dovrebbe aiutare l’Italia
La gestione dei nuovi arrivati è regolata dalla Convenzione di Dublino, la quale prevede che la richiesta di asilo venga valutata dal Paese di arrivo. L’Italia è quindi fortemente interessata da questa norma, che impone la gestione di oltre 100.000 pratiche all’anno. Vale la pena ricordare che questo contratto, tanto criticato dall’attuale governo italiano, è stato approvato dai rappresentanti eletti del governo italiano Lega.
Attualmente è allo studio una nuova riforma europea. Garantirebbe una maggiore solidarietà e una distribuzione più rapida dei migranti che arrivano nell’Unione europea. Cambiamenti che aiuteranno sicuramente l’Italia nei suoi compiti, ma a due condizioni.
Il primo è l’identificazione più rapida dei migranti. Le nuove norme italiane non sembrano andare in questa direzione, poiché è stata approvata una nuova legge che consente ai centri di accoglienza (e deportazione) di confinare i migranti nelle loro strutture per un periodo più lungo, fino a 18 mesi. Questa estensione mostra tutte le difficoltà logistiche che l’Italia deve affrontare, soprattutto a livello interno. Le ultime misure varate dal governo italiano prevedono la realizzazione di un centro per regione. Un’iniziativa che è stata subito criticata (per non dire respinta) da diversi presidenti di Regione, tra cui lo stimatissimo e mediaticamente amico Luca Zaia (Veneto), nonostante fosse registrata presso la Lega.
Il secondo punto è la cooperazione con gli altri paesi membri. Gli altri Paesi dell’Unione Europea parlano di solidarietà nella gestione degli arrivi, ma ancora nulla è chiaro. I paesi confinanti Francia e Austria stanno attualmente rafforzando le loro truppe di frontiera. Non sorprenderebbe se paesi sovrani come l’Ungheria rifiutassero di accogliere nuovi migranti nonostante la solida amicizia tra Giorgia Meloni e Viktor Orbán. Logicamente, i partiti estremisti di destra non saranno propensi ad accettare questa distribuzione. Marine Le Pen, ad esempio, non si è recata a Lampedusa nelle ultime settimane, ma si è recata in Italia con Matteo Salvini per la riunione annuale della Lega vicino a Milano.
La fine della luna di miele per Giorgia Meloni?
Sono sempre meno le scuse per l’attuale governo italiano, che ha promesso soluzioni miracolose per limitare finalmente l’ingresso dei migranti, in particolare attraverso un utopico blocco navale dell’intero Mediterraneo. Finora i risultati sono opposti. L’arrivo di Giorgia Meloni e Ursula Von der Leyen a Lampedusa è stato applaudito dal pubblico presente Obiettivo (Parata) con il nemico degli elettori di Fratelli d’Italia : l’Unione Europea. La Meloni però non ha scelta: senza Bruxelles l’Italia è in un vicolo cieco, sia sul fronte della gestione dell’immigrazione che del piano di stimolo economico.
Per accontentare Bruxelles e la destra italiana, il presidente del Consiglio tenta ancora una volta una grande deviazione. Nel giro di un anno i ruoli di Matteo Salvini si sono invertiti. Quando era al potere il leader della Lega (Mario Draghi), Giorgia Meloni non esitò a criticare il governo per la sua politica, considerata troppo centrista. Oggi accade il contrario: mentre Giorgia Meloni sorride a Ursula von der Leyen, Matteo Salvini era in Lombardia per l’incontro annuale Lega, dove i discorsi sono sempre molto duri, soprattutto per quanto riguarda l’immigrazione. Due leader, due partiti al potere, ma una vera competizione che potrebbe logorare la coalizione nel medio termine, anche se i due protagonisti di destra continuano a insistere sulla loro buona intesa e coesione.
L’opposizione del Partito Democratico al momento è incerta: la segretaria del neopartito Elly Schlein non è d’accordo, e i suoi legami poco chiari con il Movimento Cinque Stelle non aiutano gli elettori a farsi un’idea chiara degli obiettivi della sinistra moderata. Il Pd è fermo da mesi al 20%. Ma paradossalmente, questo silenzio dell’opposizione ferisce ancora di più Giorgia Meloni: non trova alcun avversario a cui rispondere, il che la costringe ad affrontare alcune realtà del Paese, come l’inflazione galoppante e i prezzi dell’energia che non scendono. Un litro di benzina costa 2€ Bel Paese. E ogni italiano ricorda il video dell’attuale presidente del Consiglio, che prometteva di ridurre del 50% il prezzo del carburante in caso di vittoria. Per ora la Meloni resta in testa ai sondaggi, con un elettorato leale o che non ha ancora trovato ai suoi occhi un’alternativa politica credibile.