Con un piccolo aiuto made in Italy

JC Maraddon

Una sorta di controparte dell’offerta di intrattenimento negli Stati Uniti, la produzione culturale europea si basa su una tradizione che generalmente garantisce qualità e lascia un’impronta particolare su ciò che ne esce. E sebbene la maggior parte di ciò che consumiamo sia di origine americana, il legame che manteniamo con il Vecchio Continente dopo le correnti di immigrazione del XIX e XX secolo, fa sì che i film, la musica e i libri che da lì vengano esportati amichevoli alle nostre idiosincrasie, e che costituiscono un catalogo molto quotato nei settori più esigenti.

All’interno di questa batteria di prodotti popolari, il cinema italiano occupa un posto trascendente, dal momento che il neorealismo ha fatto la sua comparsa nel dopoguerra e ha abbagliato gli spettatori con un’estetica essenziale ma non per questo meno intensa. Grandi registi al riparo dal calore di questa scuola hanno dipinto i loro borghi e conquistato il mondo grazie a lungometraggi che ne hanno sottolineato la concezione artistica, senza trascurare il messaggio sociale o la capacità di riflettere nelle loro produzioni quell’identità d’Italia che tanto ha da fare con l’Argentina e che, per ragioni logiche, percepiamo come molto vicino.

Attori e attrici iconici hanno sfilato sugli schermi e si sono fusi nell’immaginazione degli spettatori con i personaggi che hanno incarnato nella finzione, mentre i paesaggi che hanno attraversato sono diventati familiari al pubblico locale, anche se si trovavano a migliaia di chilometri di distanza. Anche lo stesso Paolo Sorrentino, forse l’ultimo cineasta di questa linea, ama mostrarci nei suoi film gli angoli e le fessure di città come Roma o Napoli, con lo stesso incanto di chi lo ha preceduto in questo compito e ci ha invitato a sviluppare un gusto per queste città della penisola italiana.

Potremmo dire che la saga “Il Padrino”, di Francis Ford Coppola, fa parte anche di questo lotto cinematografico del nostro viaggio di assaggiatori di film, nel suo modo di raccontare una storia che torna in Italia, al di là del fatto che si svolge al potere americano. Questi film sono ancora un tributo dal cuore di Hollywood a quella fabbrica di cinema italiana che ha filato l’acqua dalle pietre e ha fondato una visione innovativa per un cinema che si crogiolava nei blockbuster ma sembrava aver sacrificato il buon gusto per smorzare gli enormi budget investiti.

Qualcosa del genere è ciò che fa Mike White nella seconda stagione della sua serie “The White Lotus”, i primi tre episodi dei quali su un totale di sette sono stati visti finora su HBO. Proprio come nella puntata precedente, l’ambientazione prescelta erano le Hawaii, l’azione si sposta ora in Sicilia, dove ancora una volta arriverà un contingente di raffinati turisti per soggiornare nella filiale che la catena alberghiera ha in questa regione. Dal cast precedente, solo la coppia che Jennifer Coolidge e John Gries assumono nella finzione vengono recuperate in questo sequel che non prosegue troppo.

Il cambio di scenario ha un effetto inebriante, perché respira l’atmosfera di quel cinema italiano che abbiamo imparato ad apprezzare in tanti anni. Allusioni dirette a Monica Vitti e “Il Padrino”, oltre a discorsi completi in lingua dantesca, collaborano a questa procedura che si sforza di tenere questa stagione almeno allo stesso livello della precedente. Con molteplici riconoscimenti al suo attivo e riconoscimenti di ogni genere, “The White Lotus” poteva solo permettersi di deludere, e finora lo avrebbe ottenuto, con un po’ di aiuto made in Italy.

Alberto Gabriele

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