La criminalità non è mai lontana da noi e la mafia non è solo un fenomeno storico italiano; può essere nascosto ovunque, in qualsiasi momento e nelle situazioni meno sospette, spiega il regista italiano Riccardo Reina in un’intervista per “Vijesti”.
È stato a Podgorica ospite del Festival Internazionale di Teatro Alternativo FIAT 2022, durante il quale è stato rappresentato il suo spettacolo “La nostra casa” dal nome originale, simbolicamente “Casa Nostra”.
Lo spettacolo non riguarda solo la mafia italiana, sottolinea il regista, anche se la storia è estremamente locale, esplora in generale i meccanismi e le dinamiche della criminalità organizzata e il rapporto con/con il potere e le istituzioni. Lo spettacolo e il tema che il pubblico montenegrino ha avuto l’opportunità di vedere ha portato un teatro nuovo e diverso che può essere prima descritto come documentario, ma allo stesso tempo investigativo, civico, militante, di burattini e decisamente alternativo.
Le impressioni della performance a Podgorica, sul set dell’edificio del Centro musicale e cineteca montenegrino, si sono formate facilmente dopo il grande applauso che ha accolto l’ensemble di tre membri composto da Angela Forti, Agata Garbujo e Aron Tevelde.
I protagonisti sono esponenti della mafia italiana (molti dei quali ancora attivi e attuali) e sono letteralmente messi in scena, attraverso video d’archivio di vari autori. Reina fa rivivere o reinterpretare vicende e personaggi e, tra l’altro, rievoca una serie di atti criminali e omicidi commessi dall’associazione mafiosa guidata da Salvatore Reina, a cui è associato il famoso “Corleone, capo dei capi”. Le sue vittime, tra gli altri, erano giudici italiani specializzati nel trattare casi contro la mafia siciliana, Giovanni Falcone e Paolo Borsalino.
Uno dei personaggi che compare nella commedia è l’ex Presidente del Consiglio italiano, l’instancabile e controverso uomo d’affari Silvio Berlusconi, ex proprietario del club calcistico “Milan” nel suo periodo di maggior successo, e ora proprietario del Monza, già nel prima divisione della Serie A italiana. Poiché tutto è iniziato nel 1992, il pezzo inizia cronologicamente la procedura dimenticata con il materiale video allegato e lotta con la cultura dell’oblio. In quanto tale, questo teatro è tra i primi in Europa che si occupa di documentari, evidenzia Reina per “Vijesti” e continua a parlare di impressioni sul Montenegro e sul teatro…
Quali sono le tue impressioni dopo aver visitato il Montenegro e aver giocato alla FIAT? Ha potuto valutare come il pubblico ha seguito lo spettacolo, visto che si tratta di un tema locale, cioè italiano?
Durante l’esecuzione e la creazione dell’atmosfera, è difficile per noi valutare sempre con precisione se e come il pubblico accetta il pezzo. Non riusciamo a seguire le reazioni del pubblico, anche se a volte l’energia si fa sentire. È vero, questo fatto a volte ci impone una certa responsabilità di essere costantemente in gioco, quindi crea una sorta di tensione in modo che durante la performance non ci si abbandoni e il carisma e l’energia rimangano senza (im)pulsazione. In effetti, la parte più grande e più bella è sempre l’applauso, e questo è il caso del Montenegro. Alla fine, e soprattutto quando eseguiamo il pezzo altrove, fuori dall’Italia, solo allora possiamo vedere se il pubblico ha accolto il pezzo nel modo giusto o se non abbiamo fatto bene il nostro lavoro.
Direi che la trama corrisponde anche alle condizioni montenegrine, ma anche alla società che nel corso della storia ha seguito o è legata alle condizioni italiane. D’altra parte, sai e sai cosa sta succedendo in Montenegro?
Secondo me in Italia non sappiamo molto dell’attuale situazione socio-politica e della scena in Montenegro, ma il motivo non è perché le persone sono disinteressate, ma perché non conoscono nemmeno la reale situazione del loro paese , Italia, attuale o precedente. Molte persone oggi non conoscono la storia di questo argomento che abbiamo trattato, perché è uno degli argomenti di cui non si parla in Italia. I media mainstream e i politici hanno lavorato per assicurarsi che fosse fuori discussione e che la questione fosse completamente chiusa.
Dato che l’ensemble è composto da una squadra molto giovane, i componenti sono intorno ai 25 o hanno appena compiuto 30 anni, come percepisci gli eventi di cui parli e se e come hanno influenzato le giovani generazioni che stavano crescendo quando questa situazione si stava sviluppando?
La cosa fondamentale di questo pezzo è che quando abbiamo iniziato a lavorarci ci siamo resi conto che sapevamo tutti cose diverse al riguardo o avevamo percezioni diverse che abbiamo sentito nel corso degli anni. Comprendendo questo, io, come la maggiore, poi Agatha, che è un po’ più giovane di me, e Angela e Aaron, come i più giovani, mi sono fermato e mi sono chiesto come qualcuno che è ancora più giovane di tutti noi sappia cosa sia e se davvero abbiamo tutto quello che so. Per questo abbiamo deciso di creare qualcosa in questo senso, dove tutti possano capire e comprendere le cose più importanti, che sono i fatti, cioè i fatti di cui non si può discutere e che non hanno prospettiva perché sono veri. Abbiamo voluto interpretarli come tali, in modo che la gente non sappia e non veda quale era, era o è la situazione negli ambienti mafiosi.
Mi sembra che questo sia un genere di teatro completamente nuovo, direi teatro documentario. Come sei arrivato a questa forma documentario-fantoccio?
Questo è esattamente ciò che è il teatro documentario. Abbiamo sperimentato, ricercato e giocato ed è così che ci è venuta questa idea e poi il risultato finale. Per quanto riguarda l’Italia, mi sembra che siamo l’origine di questa idea e che non ci sia altra produzione che ne parli, e per quanto riguarda l’Europa, penso che ci possano essere set di questo tipo in Spagna. Lo scopo di questo tipo di teatro è quello di mostrare i fatti e i fatti storici di cui parlavo, ed evitare l’interferenza di fiction, interpretazioni diverse, fake news, disinformazione che si sta diffondendo su questo argomento attraverso i media…
Con questo avete fatto una mossa piuttosto audace e vi siete presentati come artisti, ma anche come cittadini, attivisti e persino i media, che un tempo erano sotto (auto)censura… È arte, è teatro nel 21° secolo tutto ciò ? ?
È fondamentale che gli artisti siano prima attivisti, poi cittadini, poi una sorta di media. È chiaro che oggi un artista non è più solo un artista nel suo senso fondamentale ed essenziale, ma un artista nella società odierna è come un dono del cielo. Inoltre, l’artista deve essere consapevole del suo ruolo nella società, ma anche del fatto che non è lì per fare politica, perché per questo ci sono i politici, ma è lì proprio per fermare un attimo il pubblico e dare la occasione per porsi delle domande, per interrogarsi e per capire che l’unica realtà non è quella che ci presentano i politici oi media. Non si tratta affatto di destra o sinistra, non si tratta di scelta, si tratta di persone che dovrebbero fermarsi e bloccare ciò che viene loro imposto ogni giorno e scegliere la propria strada, ma basata sulla verità.
La mafia lavora nell’ombra, ma sicuramente condiziona la vita di tutti, soprattutto quando entra in politica. Qual è la situazione oggi?
L’impatto è evidente. Ci sono grandi effetti sulla vita quotidiana in Italia. Oggi non si tratta più di sapere se la mafia lavora nell’ombra, cioè se lavora nel quadro di attentati, esplosioni, bombe, e non è più come una volta, ma la mafia ha ora più che mai infiltrata nella politica, almeno in Italia. È stato così infiltrato che non sono più i gangster ei grandi criminali che cercano i politici e collaborano con loro, ma i politici che cercano la cooperazione con i gangster. Hanno preso il potere su tutte le sfere della società italiana e hanno un’influenza su tutte le sfere, principalmente sull’economia e su questa sana economia. Questo perché sono loro che hanno più soldi da investire di tutti gli altri, quindi il denaro circola praticamente solo all’interno delle loro cerchie.
Hai scoperto qualcosa sul Montenegro e c’è la possibilità che il nostro pubblico ti riveda?
Concretamente, per quanto riguarda la mafia, non ne so molto, ma di sicuro vorremmo tutti tornare in Montenegro. Noto molti collegamenti e somiglianze che esistono tra le nostre società e i nostri paesi, e forse in futuro riusciremo a incoraggiare le persone e il pubblico in Montenegro a fare domande, a mettere in discussione questi argomenti e le persone che sono impegnate nell’arte in Montenegro per raccontare forse la sua, cioè la vostra, cerchia criminale, la storia della mafia domestica, attraverso una simile espressione teatrale.
Certo, non è solo il Montenegro ad avere del potenziale, penso che questa pista incontrerebbe un buon riscontro anche in Francia, ma più o meno in tutta Europa, visto che siamo tutti legati da un’ombra che non vediamo, e in questione è l’ombra della mafia che agisce in vari modi.
Lo sport, come l’arte, deve essere puro e vero
Uno dei personaggi che compare nella tua pièce è Silvio Berlusconi, presente in Italia da decenni, sia attraverso lo sport che attraverso la politica. A volte c’è un accenno di ritiro, ma c’è sempre stato un grande ritorno, un ritorno… Cosa ne pensi, e la responsabilità della società e la tendenza a mettere in discussione la responsabilità sono ancora più grandi?
Giusto. È interessante notare che quando abbiamo iniziato a lavorare a questo pezzo, sembrava che Silvio Berlusconi fosse una persona, cioè un’era, che era finita (in tutti i campi della sua attività). Il fatto però che torni alla politica, e anche al calcio, che sia tornato attivo e visibile sulla scena italiana e mondiale, ha echi diversi, che si tratti del suo impegno sportivo, politico, sociale o altro. Da un lato, ha reso la nostra missione ancora più grande e importante, ma ha anche reso più facile il nostro lavoro. Non fraintendetemi, è più facile perché ci sono giovani che forse non sapevano chi fosse veramente Silvio Berlusconi e che aspetto avesse, e non conoscevano tutta la storia su di lui e sull’epoca che ha colorato, e adesso hanno già l’opportunità di vedere realisticamente la sua vita, figura e azione. Diamo al pubblico giovane l’opportunità di vedere com’era e com’era tutto prima, e poi hanno l’opportunità di rivederlo oggi, nei media, nelle apparizioni pubbliche, nello sport.
E come reagiresti se ti dicessi che tifo ‘Milan’, visto che moltissimi tifosi lo rispettano in questo contesto? Allo stesso tempo, Dejan Savićević, praticamente grazie a lui, è rimasto e ha giocato nel “Milan”?
L’unica reazione che posso avere è che mi dispiace davvero che lo sport venga utilizzato per tali scopi oggi. Lo sport, come l’arte e la cultura, deve essere una dimensione particolare della vita, pura e immacolata, vera, sportiva e anche culturale. Come individuo, apprezzo e amo sinceramente lo sport, ma non potrei mai accettare il fatto che lo sport venga utilizzato per abusi, vari tipi di riciclaggio di denaro e persino per politiche e promozioni.
( Jelena Kontic )