È un’esperienza divertente accompagnare Annie Ernaux in un viaggio. Anche all’estero, c’è sempre un momento in cui qualcuno si avvicina per articolare qualcosa del tipo: “Scusa, assomigli molto ad Annie Ernaux… Se riesco a procurarmi un libro in quindici minuti, potresti firmarmelo? » Ancora e ancora un momento in cui, anche in una tranquillissima trattoria bolognese, due signore rinunciano a un’ottima mortadella per venire a raccontare all’autore de “La Place” la loro emozione nel vederle “nel suo ristorante preferito”. E anche la sera, quando Annie Ernaux torna da Piazza Maggiore, dove abbiamo visto la bella faccia seria di Pasolini in municipio mentre beveva qualcosa, un giovane portoghese si ferma davanti al suo albergo e le chiede di autografare cinque dei suoi libri. “Non potevo dire di no”mormora, come confidandole un piacere un po’ colpevole oltre che scoraggiarsi a volte per l’incredibile passione di cui è oggetto.
Questa passione non è nuova. Annie Ernaux ha insistito il primo vincitore francese del Premio Nobel per la letteratura suscitare un insolito entusiasmo. È lontano il tempo in cui una giovane donna normanna, nata nel 1940, si presentò nel piccolo negozio di alimentari dei suoi genitori a Yvetot leggere febbrilmente la “Nausea” di Sartresi è immerso in “Rebellious Man” di Camus e ha sognato un giorno di scriverne uno suo “vendicare la sua razza”.
Oggi il suo lavoro è ricco
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