WQuando desidera riconquistare la giovinezza, parla raramente della pubertà. Vuoi avere vent’anni, essere ancora giovane ma senza sbalzi ormonali, ma quattordici o quindici sarebbe meglio. Nel nuovo libro di Teresa Ciabatti “Gli anni belli”, anche questo periodo è terribile, contrariamente a quanto suggerisce il titolo. Il romanzo racconta la storia di una scrittrice che ricorda quegli anni in cui conobbe Federica, la sua migliore amica di gioventù. In quel momento Livia, la sorella di Federica, è caduta dalla finestra in circostanze non chiare. È sopravvissuta, ma da allora soffre di una disabilità mentale che la rende infantile e le fa pensare che nulla sia cambiato da quando era a scuola.
Diventa subito chiaro che i lettori non dovrebbero credere troppo al narratore. Anche se sa cosa è successo a Livia allora, non ce lo dice – per ora. Questo stile narrativo inaffidabile si adatta a un romanzo su donne giovani (e meno giovani) la cui percezione di sé non è affidabile: anche Livia, idolatrata dai ragazzi e invidiata dalle ragazze per il suo aspetto, può avere il suo. Non riconoscendo la bellezza, sfrigola sul lettino abbronzante finché la sua pelle non si riduce a brandelli e diventa sempre più affamata. Nella trama stessa del romanzo, Ciabatti inserisce estratti di una relazione su giovani anoressiche in clinica, la cui idea del proprio corpo non corrisponde neanche alla realtà. E anche la narratrice ha un’immagine distorta del proprio aspetto. Mentre una volta si considerava grassa e brutta, ora, da adulta, vuole prendere le distanze ancora di più da se stessa e rendersi più interessante e di successo di quanto non sia in realtà.