“Sono Giorgia, sono una donna, sono mamma, sono italiana, sono cristiana…”. Il 19 ottobre 2019 Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, pronunciò queste parole sul palco della manifestazione del centrodestra a Roma. Pochi giorni dopo, il discorso è stato remixato, caricato sui social media e visto milioni di volte. Giorgia Meloni, che fin da giovane si era impegnata nei movimenti giovanili di estrema destra e aveva aderito prima al “Fronte della Gioventù”, allora sezione giovanile del Movimento Sociale Italiano (erede del partito fascista), fu allora equiparata a una pop fenomeno.
L’identità femminile e il ruolo di madre si mescolano con l’identità giudaico-cristiana e con un vago concetto di “italianità” che si contrappone al suo opposto: essere musulmano ma anche essere comunista. Giorgia Meloni rifiuta ogni caratteristica identitaria e culturale che derivi dall’Islam e se ne rammarica “L’egemonia della sinistra” che, a loro avviso, prevale in Italia. Al di là delle connotazioni razziste, queste parole suonano come un triste ritorno al passato. Affermandosi come donna, madre, italiana e credente, Giorgia Meloni rivendica gli slogan fascisti Dio, la famiglia, la casa, sfumando i confini tra spazio privato e pubblico. Così, il repertorio femminista che consente la politicizzazione dell’intimo viene qui invertito e serve a limitare la donna nel ruolo assegnatole dalla famiglia e dall’istituzione religiosa.
Regressi nei diritti delle donne e delle minoranze di genere
Se l’estrema destra è in ascesa negli ultimi anni, abbiamo visto anche la grande capacità dei movimenti femministi di tutto il mondo di mobilitarsi contro il sessismo, l’ordine patriarcale e capitalista e per la giustizia sociale, come fanno ancora oggi le donne iraniane.
Le parole di Giorgia Meloni hanno quindi inferto una ferita nei corpi e nelle anime delle donne combattenti. Hanno infatti annunciato che gli attacchi politici del governo si concentreranno sui corpi e sui diritti delle donne e delle persone LGBTI.
Questo timore è stato subito confermato. Nel giugno 2022, la Meloni intervenne a un comizio elettorale di Macarena Olona, candidata alla presidenza dell’Andalusia per Vox, l’ultradestra spagnola. Di nuovo lei disse: “Niente lobby LGBT!” No alla violenza islamista! No all’immigrazione! No alla grande finanza internazionale! Sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT, sì all’identità sessuale, no all’ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no alla cultura della morte, sì ai valori cristiani universali! ».
Poi le parole sono diventate azioni attraverso politiche che discriminavano, mancavano di rispetto e limitavano i diritti civili delle minoranze di genere. Il Viminale ha imposto al Comune di Milano di sospendere il riconoscimento e la registrazione dei figli di coppie dello stesso sesso. Non sarà quindi più possibile riconoscere i minori figli di due padri che hanno utilizzato la maternità surrogata, se approvata, né i minori figli di due madri che hanno utilizzato la riproduzione assistita. Stranieri – perché in Italia questo non è consentito alle coppie non eterosessuali – e che hanno partorito in Italia.
Questi divieti contraddicono l’articolo 3 della Costituzione, il quale afferma che tutti i cittadini devono essere uguali davanti alla legge. Violando questo principio, le azioni del governo negano i diritti fondamentali a più di 150.000 figli di coppie omosessuali che vivono in Italia.
Il diritto all’aborto è un’altra questione delicata. La Meloni non parla apertamente dell’abolizione della legge sull’aborto 194 del 1978, ma di essa “La migliore applicazione” che, a suo avviso, dovrebbe garantire il diritto della donna all’aborto, in una logica assurda secondo la quale il diritto all’aborto di una donna potrebbe negare il diritto di un’altra donna alla gravidanza desiderata.
La realtà però è completamente diversa: in Italia l’aborto è un diritto che può essere negato, soprattutto a causa dell’altissimo numero di ginecologi, ma anche di anestesisti, cardiologi e perfino infermieri contrari.
Il caso delle Marche è esemplare. Qui la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che l’amministrazione di Fratelli d’Italia si rifiuta di adottare le linee guida emanate dal Ministero della Salute il 12 agosto 2020, che prevedono aborti farmacologici (RU486 pillola). Accesso più semplice. Purtroppo non si tratta di un caso isolato: il problema riguarda tutte le regioni dove il numero degli obiettori è aumentato nell’ultimo decennio, raggiungendo punte dell’80-90% in Sicilia, Campania e Lazio.
Politiche identitarie basate sul fascismo e sull’antifemminismo
I discorsi di genere della Meloni ignorano le conoscenze e le esperienze dei movimenti femministi e LGBTI. Si rammarica del fatto “che le persone oggi rivendicano il diritto unilaterale di chiamarsi donna o uomo, indipendentemente dai mezzi chirurgici, farmacologici o anche amministrativi”.. Ci ricorda che il maschile e il femminile sono ancorati nel corpo e afferma che tutto ciò avverrà “A scapito delle donne” perché essere donna, “Ci comportiamo come se fosse sufficiente proclamarci tali mentre lavoriamo per cancellare il corpo, l’essenza, la differenza”..
La Meloni chiede associazioni che difendano i diritti delle donne e delle persone LGBTI “Proclamazione” non è un atto arbitrario, ma piuttosto l’affermazione della propria identità di genere e la rivendicazione del diritto all’autodeterminazione e alla libera disposizione del proprio corpo.
La politica identitaria della Meloni è radicalmente antifemminista. Coloro che amano definirsi donne e madri rivendicano contemporaneamente l’articolo maschile lasciando intendere che governeranno come un uomo. Come sottolinea la scrittrice Michela Murgia, questo non può che placare il patriarcato, perché in realtà “Non è il genere di chi detiene il potere che conta, ma piuttosto il modello di potere che detengono”.in questo caso un modello mascolinista e sciovinista.
Nel programma melonico la donna esiste solo in relazione alla famiglia o alla riproduzione. Non ci vuole molta fantasia per ritornare alla tradizione fascista, la prima tradizione politica italiana che si appropriò dei valori del cattolicesimo e ne fece uno strumento egemonico di identificazione nazionale.
La storia del femminismo del Novecento in Italia è infatti segnata dall’esperienza del fascismo, che ha agito da inibitore dei processi di emancipazione femminile e da ostacolo alla conservazione della sua memoria. Durante questo periodo non si verificò alcuna vera conquista, e anche il suffragio amministrativo per le donne (nelle elezioni locali) concesso nel 1925 alla fine non fu mai implementato, poiché queste elezioni furono abolite quasi contemporaneamente. Pertanto fu necessario attendere la fine della seconda guerra mondiale per ottenere voce politica. Il fascismo fu fonte di grande violenza nei confronti delle donne: non solo le relegò al ruolo subordinato di educatrici e riproduttrici, ma richiese loro anche di partecipare attivamente alla costruzione di questo ruolo.
Anche se questi compiti non erano nuovi, durante il ventennio fascista furono posti sotto la supervisione di uno specifico sistema socio-politico, senza precedenti nella storia d’Italia: per la prima volta le donne furono incluse in un progetto politico. Già nel 1921 il programma del gruppo romano era “Fasci” femminile espone i ruoli e le responsabilità delle donne nella società, con l’idea di sviluppare le loro capacità al meglio delle loro capacità, piuttosto che cercare di portarle nella sfera di attività degli uomini, dove falliranno sempre. La donna fascista è quindi subordinata all’uomo, al marito, ai figli, ma anche alla “patria” e allo stesso tempo partecipa attivamente alla realizzazione della società fascista per articolarne gli aspetti conservatori in un quadro di “modernizzare”.
L’altro grande ostacolo per le femministe italiane è la cultura cattolica, che è profondamente radicata nella società italiana ed esercita uno stretto controllo sui corpi e sulle attività delle donne.
L’elezione di Giorgia Meloni in Italia ha destato grande preoccupazione proprio a causa della sua eredità fascista, che lei fa propria aggiornando la politica “maternista” nonché il regime di regolamentazione gerarchica del ruolo delle donne nella società.
Qual è il bilancio un anno prima dell’inizio della legislatura?
Il governo Meloni ha annunciato molto e ha legiferato poco: sono state approvate solo sette leggi e attuati l’86% dei decreti legislativi, quasi un record. Il blocco navale contro gli immigrati si è trasformato in una serie di norme vili ma, fortunatamente, difficilmente applicabili. La “rivoluzione” annunciata nella giustizia si riduce a un impegno solenne a lottare per una di esse “Giustizia giusta e tempestiva”. Ma il fronte principale su cui si batteva la Meloni era la preda dei poveri: il reddito di cittadinanza venne abolito o addirittura convertito in una sorta di salario minimo ridotto, che era legato al lavoro formativo obbligatorio e non garantiva più la dignità della persona.
L’obiettivo è placare coloro che detengono il potere, affrontare le loro richieste fiscali e lavorative e allo stesso tempo vendicarsi contro coloro che non hanno potere.
Non sorprende che le rare misure abbiano colpito anche le donne: la nuova maggioranza ha limitato la platea dei potenziali beneficiari dell’“opzione donna”, il sistema pensionistico per le lavoratrici introdotto dal secondo governo Berlusconi, alle donne licenziate o impiegate nelle aziende nella Crisi aziendale nonché gli operatori sanitari e i lavoratori disabili.
È chiaro che la Meloni non ha fatto nulla per introdurre un salario minimo o per adottare misure di contrasto alla precarietà, che colpisce soprattutto le donne e le persone LGBTI, che non solo lavorano meno ma hanno anche maggiori probabilità di rimanere disoccupate.
Che si tratti di diritti civili, diritto del lavoro o politiche pubbliche, le donne sono l’anello debole nella società Meloni. Manca completamente l’elemento centrale del femminismo: l’obiettivo di connettersi con altre donne per condividere ed esprimere una parola comune che consenta una politica di emancipazione.
La Meloni al potere non mette in discussione la struttura del potere patriarcale perché la donna alla guida della repubblica non riesce a comprendere il “bagaglio” del femminismo, cioè la capacità delle donne di rovesciare le gerarchie della società.