Archivista vaticano: Il silenzio sulla Shoah è stata un’autocensura in Vaticano

Questo Pio XII. e il silenzio della Santa Sede sullo sterminio di massa degli ebrei durante la seconda guerra mondiale era una forma di autocensura ritenuta necessaria in Vaticano all’epoca. Questo è ciò che ha detto l’archivista vaticano Giovanni Coco riguardo a Papa Pio XII durante un convegno la settimana scorsa. presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Gudrun Sailer – Città del Vaticano

Coco è archivista di lunga data presso l’Archivio Apostolico Vaticano e recentemente ha assunto a libro meticolosamente ricercato sulle lettere private di Papa Pio XII. presenti nelle azioni ora rilasciate. Ne abbiamo parlato dopo la conferenza”Nuovi documenti del pontificato di Pio XII e la loro importanza per i rapporti ebraico-cristiani.

Ascolta la nostra intervista con l’archivista vaticano Giovanni Coco qui:

Il silenzio del Papa e della Santa Sede sullo sterminio degli ebrei sotto il nazionalsocialismo: fino a che punto è stato il risultato di una forma di autocensura?

Giovanni Cocco: Sicuramente anche una forma di autocontrollo. Si tratta di decisioni prese con attenzione, certamente con la consapevolezza della responsabilità per le conseguenze per i cattolici polacchi perseguitati dal regime nazista e per la sorte della stessa Chiesa tedesca, che non visse bene sotto il regime nazista. L’autocensura durante l’occupazione di Roma da parte della Germania nazista nel 1943-1944 arrivò a tal punto che il papa non si difese nemmeno dalle accuse infamanti di aver sostenuto la deportazione degli ebrei da Roma. La Segreteria di Stato ha preparato una nota di protesta contro questa falsa notizia, ma le parole di protesta sono state cancellate all’ultimo momento. “Saranno comunicati verbalmente, se non del tutto”, ha osservato mons. Montini.

Di che data stiamo parlando?

Giovanni Cocco: Dal 23 ottobre 1943, sette giorni dopo il tragico giorno della retata nel ghetto, sul quale la Santa Sede rimase in silenzio.

“La lezione standard in tempi di persecuzione: dire meno piuttosto che di più. »

In che misura questa forma di autocensura riflette la politica diplomatica generale della Santa Sede anche prima della Shoah?

Giovanni Cocco: Innanzitutto appartiene ad una scuola di formazione diplomatica. Eugenio Pacelli, Pio La lezione standard in tempi di persecuzione: dire meno piuttosto che di più. Le proteste ufficiali sono avvenute principalmente attraverso documenti diplomatici. Abbiamo creduto di poter esprimere tutto il nostro rammarico e tutta la nostra disapprovazione in una piccola nota di protesta. Era un mondo che credeva nella diplomazia. Ma si scontrava con un mondo come quello dei regimi totalitari, che consideravano gli accordi e le note diplomatiche come “carta di mussola”: spazzatura.

Come possiamo oggi rintracciare negli archivi quando il Papa e la Santa Sede vennero a conoscenza dello sterminio degli ebrei?

Giovanni Cocco: Non sapremo mai l’ora esatta. Sappiamo solo cosa risulta dai documenti. E qui si registra un aumento: dal gennaio 1940 giungono in Vaticano notizie sulla sistematica persecuzione degli ebrei polacchi nel territorio occupato dalla Wehrmacht in Polonia. E questi messaggi si stanno accumulando. Il momento in cui le notizie di persecuzioni furono sostituite da notizie di massacri e stermini sistematici può essere collocato verso la fine del 1941. Dall’estate del 1942 la gente in Vaticano prende coscienza che quanto accade nell’Europa dell’Est non è più solo violenza persecuzioni o massacri isolati. Questo è un piano più complesso, un’evoluzione verso la distruzione.

“La parola “sterminio” lascia tracce nella Segreteria di Stato.

La parola annientamento – in italiano: “sterminio” – compare poi frequentemente nei documenti dell’Archivio Apostolico Vaticano. Puoi rintracciarlo?

Giovanni Cocco: Questa parola appare per la prima volta in una lunga nota diplomatica dell’ambasciatore polacco Kazimierz Papée alla Segreteria di Stato intitolata “L’occupazione sterminatrice della Polonia”. È tutto lì dentro. E ha parlato quasi esclusivamente della sofferenza del popolo polacco. La parola “sterminio” lascia tracce nella Segreteria di Stato. È una parola difficile, soprattutto per una diplomazia che stava ancora pensando di porre fine alla guerra attraverso un compromesso. Nella sua risposta all’ambasciatore Papée, il cardinale segretario di Stato Maglione ha tolto dal verbale l’aggettivo “devastante” e ha lasciato solo “l’occupazione della Polonia”. È importante.

Ed è altrettanto significativo che questa parola ricompaia nel settembre del 1942. Monsignor Angelo dell’Acqua (operante in un dipartimento della Segreteria di Stato) minimizza la notizia della Shoah perché, come sostiene, gli ebrei sono inclini all’esagerazione. Questo è diverso da mons. Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, sostituto nella Segreteria di Stato e braccio destro di Pio XII. in molte cose. In una nota interna usa l’espressione “l’annientamento che sarà compiuto contro gli ebrei”. È interessante notare che la parola sterminio, usata prima dai polacchi per i polacchi, viene usata dalla Segreteria di Stato e da Montini non per i polacchi, ma per gli ebrei.

“A questa storia di silenzio è legato anche l’appello alla clemenza nei confronti della Germania sconfitta”.

Il silenzio sull’Olocausto non finisce con la guerra. Anche dopo, il Vaticano rimase in silenzio sulla questione. Per quello?

Giovanni Cocco: Sì, mi piace parlare di silenzio al plurale, perché non ce n’è uno, ma diversi motivi. Dopo la guerra sorsero subito nuove sfide. Il primo è l’emigrazione ebraica in Palestina e la creazione dello Stato di Israele, che crea tensioni molto forti. Un gruppo di sopravvissuti ai campi di sterminio ebraico chiede udienza in Vaticano per ringraziare il Papa. Pio XII li accolse con molta cordialità e tenne un breve discorso. Ricorda la loro sofferenza, ma non usa la parola “distruzione” o altre parole più pesanti. Il contesto è che molti dei presenti hanno partecipato anche a una conferenza sull’emigrazione ebraica in Palestina. È così: spesso la storia contamina i singoli eventi, si mescolano tra loro. A questa storia di silenzio è legato anche l’appello alla clemenza verso la Germania sconfitta.

Questo significa?

Giovanni Cocco: Pensiamo alle dichiarazioni di Johannes Baptist Neuhäusler, sacerdote e poi vescovo ausiliare di Monaco, confessore della fede finito nel campo di concentramento di Dachau come resistenza al nazionalsocialismo. Dopo la guerra chiese al Vaticano di stare attento prima di condannare l’Olocausto perché avrebbe potuto danneggiare la Germania. Neuhäusler ha delineato il profilo dei sopravvissuti all’Olocausto che, con l’aiuto degli Alleati, hanno spinto per indebolire massicciamente la Germania sconfitta. Questa storia era falsa, ma si è sentita in Vaticano. Perché a parlare era un prete sopravvissuto a Dachau e la gente gli credeva.

“Su questo silenzio pesava infatti un pregiudizio antiebraico. »

Sulla base dei documenti, vedete un legame tra il silenzio della Curia sulla Shoah e i pregiudizi antiebraici lì diffusi?

Giovanni Cocco: Su questo silenzio pesava infatti il ​​pregiudizio antiebraico, che persisteva da tempo in Vaticano. Si è ritirato solo lentamente, anche grazie a Pio XII. stesso, anche se non riuscì a completare questa maturazione – questo pregiudizio antiebraico esisteva, anche se ci furono spinte a superarlo, si pensi a padre Agostino Bea, il confessore personale di Pio XII. Eppure questo silenzio rimane. Ma non lascia indifferente chi lo ha scelto. La mia impressione, da alcuni riferimenti nei suoi manoscritti e nelle sue note, è che Pio XII. sperimentava tutto consapevolmente e lo portava dentro di sé come sofferenza. E anche per noi, che siamo lontani nel tempo, vedere, leggere e comprendere questi avvenimenti del passato lascia un sentimento di amarezza.

“Quello che non dovremmo fare è, nella prospettiva di oggi, metterci nei panni dei protagonisti del passato”

In effetti, ci troveremmo più a nostro agio se Papa Pio XII. protestò pubblicamente contro lo sterminio degli ebrei…

Giovanni Cocco: Ma fondamentalmente non spetta a noi giudicare. Il giudizio appartiene a Dio. Il nostro ruolo è ricostruire gli eventi storici il più possibile sulla base dei documenti e possiamo sviluppare un’idea morale dei protagonisti. Ciò che non dovremmo fare, nella prospettiva di oggi, è metterci nei panni dei protagonisti del passato. Dovresti vivere il loro tempo con la loro educazione per poter giudicare. Proprio come i nostri nipoti un giorno dovranno giudicarci in base ai nostri tempi e non ai loro.

(Notizie dal Vaticano – gs)

Alberto Gabriele

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