L’Italia vuole tornare ad essere un Paese di livello mondiale…
L’Italia vuole ridiventare un Paese di importanza internazionale, soprattutto ai margini del Mediterraneo, sua tradizionale area di influenza fin dall’Impero Romano, e in Sud America, dove vivono grandi comunità di origine italiana.
L’Italia intende ritirarsi dalle “Nuove Vie della Seta” che la Cina ha aperto dal 2013. Ricordiamo che queste “strade” consistono in una rete planetaria di rotte terrestri, marittime, aeree o ferroviarie, che partono dall’antico Medio Regno verso l’Europa, l’Africa e il Pacifico per facilitare il commercio. Ricordiamo che queste “rotte” rappresentano per la Cina, oltre all’apertura alle sue esportazioni, anche un vettore e un fattore di influenza politica, diplomatica e geostrategica e ciò spiega perché Pechino abbia già investito 1.000 miliardi di dollari nella loro realizzazione. gran parte nei paesi attraversati (in particolare nella locazione o acquisizione, costruzione o ammodernamento di infrastrutture e attrezzature per i trasporti). L’Italia ha aderito alla rete nel 2019. Si prevede di rinnovare la propria adesione per cinque anni il prossimo marzo. A priori non lo farà. Il governo italiano ritiene che i benefici economici e commerciali attesi non siano stati raggiunti. Ritiene infatti che l’attuazione delle promesse di investimenti per l’ammodernamento e l’ampliamento dei porti di Genova e Trieste non sia stata portata avanti in modo adeguato e che la bilancia commerciale sia decisamente inclinata verso il lato negativo (le esportazioni italiane verso la Cina sono aumentate dall’11 all’11% a 16 miliardi di euro, l’export cinese verso l’Italia è passato da 25 a 50 miliardi di euro).
Considerazioni politiche
Il probabile ritiro dell’Italia è motivato anche, e forse soprattutto, da considerazioni politiche. In primo luogo, il governo italiano teme che il suo Paese diventi dipendente e adotta quindi una riserva che il leader della Lega Matteo Salvini e poi ministro dell’Interno avevano espresso nel marzo 2019: “Quando si tratta di sostenere le imprese italiane a investire all’estero siamo pronti a discutere con chiunque. Ma quando si tratta di colonizzare l’Italia e le sue imprese da parte di potenze straniere, no”. In secondo luogo, il governo italiano non vuole evidentemente prendere le distanze dal campo occidentale, che accusa la Cina di mantenere relazioni compiacenti con la Russia, di minacciare Taiwan e di sviluppare una forma di imperialismo in Africa, Sud-Est asiatico e nel Pacifico. In terzo luogo, il governo italiano sta pensando in grande e lontano. Egli aspira, infatti, affinché l’Italia torni ad essere un Paese di rilevanza internazionale; in particolare ai margini del Mediterraneo, tradizionale area di influenza dell’Italia fin dall’Impero Romano, e in Sud America, dove vivono grandi comunità di origine italiana; che, secondo Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, porterà inevitabilmente alla concorrenza tra gli interessi economici italiani e gli interessi economici cinesi: “Vogliamo un rapporto solido con la Cina e sappiamo che è un partner, ma anche un concorrente, un rivale sistemico”.
Sul vantaggio di donare tempo
L’Italia però non ha formalizzato il proprio ritiro. Roma vuole andarci piano con Pechino e non farle perdere la faccia per non rischiare ritorsioni commerciali contro le sue aziende, soprattutto nel settore del lusso. Quindi Roma creerà le condizioni necessarie e si prenderà i suoi tempi. In questo senso, il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni dovrebbe contemporaneamente annunciare il ritiro del suo Paese e autorizzare il rafforzamento degli accordi bilaterali esistenti durante una visita ufficiale in Cina alla fine del 2023 o all’inizio del 2024. Spero di recarmi a Pechino in una posizione favorevole. Infatti, nel corso del recente vertice del G20 (forum intergovernativo composto da diciannove Paesi ad economia più sviluppata e dall’Unione Europea) si è deciso di creare un “corridoio logistico” (ferrovia, cavi ad alto flusso transcontinentale, gasdotto dell’idrogeno) per collegare i Penisola indiana ed Europa attraverso il Medio Oriente. Anche se non è detto, questo “corridoio” rientra nella volontà di avere un’alternativa a parte delle “Nuove Vie della Seta”. Tutto bene per l’Italia.
Alessandra Sereni